Quando un frazionista viene a morte si usa ancora recitare nella casa del defunto il Rosario e tra una decina e l’altra di “Ave Maria” si fan passare per turno boccaline di vino locale, pane e formaggio, e si tesse il necrologio più o meno sincero. Queste veglie promiscue e di sapore pagano eran poi sempre causa di disordini morali tanto che Mons. Tornelli, vescovo di Novara, visitando nel 1642 la parrocchia di Seppiana, le proibiva ed ordinava che l’assistenza dei defunti di notte fosse fatta da soli uomini o da sole donne secondo che trattasi di uomo o donna. E il medesimo vescovo visitando la parrocchia di Villadossola il 23 maggio stesso anno, proibiva “che né funerali facciano mangiamenti superflui”.

Non per questo l’inveterata consuetudine delle veglie e delle commemorazioni funebri venne abbandonata. Mons. Visconti nella sua visita a Villa del 15 settembre 1702 torna sull’argomento e scrive : “non possiamo dissimulare l’abuso di fare pasti e convitti in occasione di funerali con danno grande alle famiglie che molte volte sono costrette a far debiti per sostenere le spese, ma molto più in pregiudizio dell’anime sì dei vivi per i disordini e scandali che ne conseguono, come dei defunti che restano prive d’orazioni e suffragi, perciò ordiniamo che omninamente si tralascerà sotto pena dell’interdetto dell’ingresso della chiesa e sepoltura ecclesiastica”.

Se però la voce dei Vescovi di Novara attenuò le veglie funerarie promiscue di notte con gli immancabili bagordi e scandali, non riuscì ad eliminare ul disnà dul mòrt , sempre dispendioso, che si dava ai parenti e amici del defunto. Questa pratica era ancor in uso alla fine del secolo passato, e fu soppressa, a Seppiana per esempio, solo per mutuo consenso della popolazione.

Ad Antronapiana si usa ancora dare ul ris di mort consistente in un piatto di riso cotto nel latte, appena asciutto condito con burro. Chiunque si presenti alla casa dei parenti riceve la sua parte. Pure ad Antronapiana se qualcuno viene a morire durante la settimana, la domenica successiva, dopo la santa messa cantata, il popolo si reca in processione dalla chiesa alla casa del defunto cantando il “Miserere”.

Nei funerali degli abbienti si suole ancora distribuire alla casa del defunto o alla porta della chiesa una misura, cupp – caròl, di sale ad ogni famiglia. Talora la distribuzione si fa solo tra parenti, o tra  i capifamiglia della frazione o squadra cui il defunto appartiene. In tali funerali si suole anche scegliere sei o più ragazzi tra i più poverie stendere sulle loro spalle un taglio di mezzalana o d’altra stoffa sufficiente per la confezione di un vestito. Questi ragazzi così abbigliati si pongono allineati ai fianchi del feretro durante l’assoluzione lustrale alla casa del defunto e nelle funzioni in chiesa. Questa scorta d’onore è chiamata anda  e desume il nome dalla misura di un taglio di panno vallesano bianco o colorato di circa tre metri di lunghezza per sessanta di larghezza, detta perciò anda panni valesi, come è scritto in vari testamenti.

Vige ancor l’usanza in tutta la Valle di collocare sopra la cassa mortuaria un cuscino gremito di anelli, ciondoli, crocette ed altri monili. Le casse dei bambini vengono invece adornate di fiori e nastri colorati. E’ questa la cràvala.

Gli abiti del defunto venivano portati alla chiesa e appesi a rastrelliere per essere poi venduti al miglior offerente. Il ricavo veniva consegnato alla “Cassa dei Mort”, e serviva per ufficiature funebri a suffragio di tutti i defunti della parrocchia. Quest’usanza pericolosa per l’igiene, causa del propagarsi di molte malattie infettive, e soprattutto della peste, si conservò sin ai primi del nostro secolo.

Durante il funerale in chiesa si usa ancora in tutte le parrocchie raccogliere la colletta del soldo, che dovrà servire per l’ufficio di settima.

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