I costumi tradizionali sono identici per tutti i paesi della Valle. Villadossola, Montescheno, Seppiana, Viaganella e Schieranco, tolte lievi sfumature, conservano il medesimo costume; Antronapiana invece ne differisce sostanzialmente.   

   

(Foto Archivio Centro Documentazione Alpina – Roberto Pastore Galdiero)

Scarsi elementi si hanno per determinare il più antico costume maschile. Da quadri e pitture settecentesche rileviamo però che l’uomo portava brache corte allacciate ai polpacci, calze bianche o marrone, pianelle di bulgaro, giubba di mezzaluna chiusa al petto e aperta al collo dal quale uscivano a risvolto gli angoli di una rozza camicia di seta di canapa, cappello di feltro, rotondo, a guisa di quelli ancor usati dai pastori del vicino Vallese. Questo costume andò poi modificandosi nel settecento con lasciar la giubba a coda di rondine aperta sul petto per dar risalto a un giubbino a colori vivaci con bottoni di madreperla.

Il costume muliebre non differisce quasi da quello degli altri paesi posti sulla destra della Toce, compreso Domdossola.

La gonna lunga ràss – vistì – soka, di panno nero o marrone, o di tibet nero, corpo a vista, senza maniche, arricciata a fitte crespe e guarnizioni ai bordi; il grembiule scussàl, di seta nera o di tibet, colorato con fiorami nelle ragazze, giubbino nero o di colore con bordi di velluto; fazzoletto nero o stamapato di tela o seta, annodato posteriormente ; al collo una gorgieretta , larcìga, increspata, di candido lino.

(Foto Archivio Centro Documentazione Alpina – Roberto Pastore Galdiero)

Anticamente la donna portava sul seno un ricco disegno con due file di bottoni di madreperla, o colorati, con catenelle d’oro o d’argento, detto ul giòk; calze colorate e scarpe basse. Nella toeletta femminile non mancavano mai i grossi ciondoli a mezzaluna o a goccia, e le scarpette basse di panno o velluto a fiorami. Si usava anche in passato un soprabito nero o caffè, di mezzaluna, lungo quanto l’abito, detto ul giàk; ora usato solamente quale vestaglia nei lavori di campagna.

In chiesa la donna sposata o anziana porta disteso sul capo un ampio velo di sargia nera che ricorda le monache brasiliane d’Oriente.

Una nota gaia che distingue le donne di Viganella è la vivacità dei colori dei fazzoletti di testa a grandi rose e dei giubboncini nei quali prevale il rosso carminato e vellutato e l’azzurro.

Questo costume non brutto va fatalmente sparendo soprattutto a Villadossola e vien sostituito da una moda sciatta e scimmiottesca senza gusto e punto estetico.

Il costume maschile di Antronapiana era foggiato su quello degli abitanti della finitima valle di Saas (Vallese): canzoni larghi e corti di lana e cotone; giubba corta, della medesima stoffa; giubboncino di cotone o di panno cilestro o marrone, suole e scarpe basse; cappello di panno, rotondo. Soggetti di questo costume si possono ancor vedere frescati sulla facciata dell’oratorio di Rovesca.

Veramente singolare è poi il costume muliebre: non elegante, ma che soddisfa pienamente alle condizioni di vita pascolare della donna antronese che vive la maggior parte dell’anno su gli alti monti in prossimità delle nevi perpetue. Ciò è tanto vero che la figlia d’Andolla non pensò mai a modificare il suo vestito che le serve tanto nella cruda come nella bella stagione.

La gonna, ùstì – arkùn, di mezzalana marrone, o cannella nelle più eleganti, alquanto corta, liscia davanti e abbondantemente increspata posteriormente, è fissata agli omeri e priva di maniche. Sulle spalle un’ampia giubba, giakarijn, di panno indigeno, nero o caffè, le scende sin alle anche. Il grembiule, scussàl, liscio, di pescallina, bordato con fettuccia colorata nelle ragazze e fermato al collo. Copre il seno e scende  sopra le ginocchia. Il collaretto di pizzo increspato, laciùga, le cinge il collo.

GIOIELLI DELLA VALLE ANTRONA

(Foto Archivio Centro Documentazione Alpina – Roberto Pastore Galdiero)

Le giovani usano anche cingersi il collo con una fettuccia di velluto. In testa portano con una certa noncuranza un fazzoletto di lana a colori vivaci, o anche nero; alle orecchie grossi anelloni a ciondolo. Invece delle calze, gambali di rossa lana, travùs, che scendono sin alle caviglie, lasciandole però scoperte, come scoperta è la parte superiore del piede calzato di scarpe basse. In chiesa le ragazze portano in testa un ampio fazzoletto stampato a grandi rose azzurre e rosse, le sposate, nero. Nella festa patronale di S. Lorenzo le giovani portano calze bianche squisitamente ricamate a rete.

Questocaratteristico costume della donna antronese che non trova analogia con nessuno degli altri costumi muliebri delle nostri Alpi, o del finitimo Vallese, è tuttora scrupolosamente conservato. Si è fatta una sola e non generale eccezione per le calze sostituite ai gambali.

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