Una certa importanza hanno pure le storielle e gli scherzi satirici che la conoscenza del popolo antronese. V’è n’ha in tutti i paesi della Valle. Non sono, per lo più, fatti veri, ma invenzioni ed esagerazioni di buontemponi, che in passato si dilettavano di ricordare delle lunghe sere invernali scherzi e fattarelli satirici per corbellarsi la vicenda.

Alcune di queste storielle sono affatto locali; altre di fondo comune ad altri popoli alpini. Ne accenneremo alcune delle più popolari e spiritose senza la minima intenzione di parzialità campanilistica nella loro scelta.

Le vicinanze di Villa, Montescheno, Seppiana e Viganella avevan divisato di sagginare una mucca e dividerla poi in parti uguali per le feste del S. Natale.

I villadossolesi, cui n’era affidata la custodia, senza interpellare i contestatari, uccisero la mucca proprio l’antivigilia di Natale; la spolparono per bene non lasciandole solo lo scheletro e i muscoli, e tra loro se ne divisero la polpa. Giusto l’accordo, la vigilia di Natale, vennero prima quei di Montescheno, detti gatti, per ritirare la loro parte; e, vedendosi così corbellati da Villa, non vollero restare a bocca asciutta, e da esperti felini lacerarono dalla carcassa muscoli e tendini.

Vennero poscia i Seppianesi, chiamati cani, cui non rimasero che le nude ossa da rosicchiare.

Giunti ultimi quelli di Viaganella, detti vigùi, non ebbero altra consolazione che succhiare con la lunga proboscide il midollo dalle ossa non potute divorare dai cani.

I vicini delle tre comunità gabbate non potendo altro avere da Villa, che aveva fatto la parte del leone, per prima di separarsi per celebrare il Natale, augurarono ai Villadossolesi: Che la càarn d’la vaka l’au resta in tul magùn!: di qui i magoni di Villa.

La popolazione di Viganella si prestò sempre in passato ai motti salari e ai frizzi dei vicini, che intorno ad essa ricamarono gustose storielle.

Nei nostri paesi alpini il campanile è sempre l’esponente di piccole ambizioni e di confronti più o meno spiritosi. Antronapiana, prima della frana del 1642, vantava un bel campanile. Viganella invece, non acora costruita la parrocchia, non aveva che una bassa e tozza torretta. Mancando i mezzi per l’innalzamento, insinuarono i soliti burloni, che il campanile di Viganella, privo di sole per circa tre mesi all’anno, avrebbe potuto essere rialzato riparandolo dal freddo durante la notte con generose fasciature di tela casalinga.

E le buone donne di Viganella accolsero entusiaste il suggerimento e si accinsero all’operazione.

Se non che nel cuor della notte alcune sosse antronesi, astute e feline, all’altezza di tre braccia da terra sforbiciavano via la tela dal campanile.

All’alba del gio0rno segunte qual non fu la meraviglia del buon popolo di Viganella nel veder rialzata di qualche braccia la tela, e quindi anche il campanile !

–         Si trovò altra tela per ripetere l’operazione; e le mattine seguenti lo stesso prodigio. E la popolazione non s’avvide dl tiro birbone se non quando le casse già ben fornite di tela casalinga eran vuote …. E il campanile continuava ad essere all’altezza di prima !

–         Osservo però che questa corbelleria vien pure appioppata ad altri paesi delle nostre alpi, per esempio a Malesco in Val VIgezzo e ad Isone, Canton Ticino.

 Per tacere la storiella della “luna in trappola” originata dalle secolari lotte tra Castiglione d’Ossola e Viganella, mi limito a ricordare lo scherzo satirico del “polentone”.

Volendo la popolazione di Viganella celebrare in modo originale la festa patronale di S. Maria di Settembre pensò di cuocere in comunione un polentone al chiar di luna in una voragine a marmitta del torrente Ovesca, sottostante al paese.

E metre gli uomini vuotavano i sacchi di farina nel gorgo, che funzionava da mestone, le donne sull’orlo del burrone cantavano :

  

Tra Burt e Kècc, cascinell,

E Rivera, borgantòn,

E Viganela, citadòn,

Oh, du damoniòn !

D’umàn l’èl dì dul fastòn :

I fèm àn pulantòn,

Tit in cumaniòn,

Dein dul bojòn,

An ciar du lùnòn !

 

Crediamo che lo scherzo satirico abbia avuto origine dalla sostituzione dell’u nasale coll’ò lungo e nasalizzato, tipico della parlata di Viganella.

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